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13. Donne e vecchiaia
di Lilli Bacci

Nel 2018 Bollati Boringhieri pubblicò una raccolta di scritti di Rossana Rossanda (figura di spicco della sinistra italiana, ex deputata e giornalista, morta a 96 anni nel settembre 2020), sul corpo.

Come scrisse Lea Melandri che ne curò la postfazione, si tratta di “pagine sorprendenti per la coraggiosa esposizione di sé, il rapporto col suo corpo, l’invecchiamento, la morte”.

Sicuramente fu toccato un tema fondamentale: l’avvicinamento alla vecchiaia, anche per chi ha vissuto in pieno gli anni del movimento femminista e in maniera collettiva altre età ed esperienze, rimane ancora un percorso individuale e spesso precario.

Dice Rossanda: «Aver messo al centro di una vita il rapporto con l’altro -l’uomo, il suo universo, i suoi “pubblici comandamenti” non significa necessariamente dipendenza, martirio, bensì riconoscersi “una in un pieno di uni e une” una pianta che cresce nella terra dell’altro, in cui scoprire somiglianze e differenze, con cui dialogare e scontrarsi, capire e lasciarsi incantare da tutto quel che ci circonda e vive».

Certamente la donna rispetto al corpo è sempre stata vista in base alle sue primarie funzioni esterne, prime tra tutte maternità e seduzione.

Dice Rossanda: «In verità il sapere del corpo non accompagna la vita quotidiana di uomo e donna. Per essere così vicino, il corpo è in assoluto la zona di conoscenza meno frequentata. (…) Il corpo nasce, invecchia e muore e noi nasciamo, invecchiamo, moriamo con lui: con, come se fosse altro da noi. (…) Invecchiamo, ci ammaliamo, moriamo nostro malgrado: è lui, il corpo che ci trascina nei suoi ritmi, programmi, disastri. (…) E la percezione del corpo, per la donna, deve attraversare, oltre a tutte le interdizioni primarie, uno spesso diaframma culturale».

Vi invito a leggere assolutamente questo testo di Rossana Rossanda perché è davvero intenso e coraggioso. Questo corpo che mi abita 19 in particolare proprio il capitolo che porta questo titolo. Ci insegna molte cose, come che dell’invecchiamento non c’è comunque troppa differenza tra uomo e donna di per sé, se non quella che ci si porta appunto dietro dal diaframma culturale in cui siamo tutte e tutti cresciuti.

Certo come dice la Rossanda: «Cambia la mappa delle passioni, perché cambia la carta topografica in cui mi trovo: c’è più spazio dietro che davanti. Sono libera di ricordare, scoprire, non sono libera di progettare, sono libera dal progettare. Muta il tempo, sono meno distratta, penso che c’è qualcosa che non vedrò e non mi duole più: ero una turista efferata, correvo a non perdere niente. Ho corso sempre, continuo a correre per capire, mi restano da capire un mucchio di cose, mi seccherebbe non capirle. Quelli come me sono vissuti come una tessera del mosaico del mondo, sarà stata la guerra mondiale o il comunismo, in ogni modo è un bel vivere, non mi sono annoiata mai».

Rossana Rossanda “Questo corpo che mi abita” Bollati Boringhieri 2018 pag 82-95

Marina Piazza, sociologa che negli ultimi anni si è occupata prevalentemente della tematica della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, ha pubblicato, tra l’altro, Le ragazze di cinquant’anni. Amori, lavori, famiglie e nuove libertà (Mondadori, 2000), L’età in più, Narrazione per fogli sparsi (Edizioni Ghena, 2012). Nel 2016, insieme a un gruppo di donne della Libera Università delle Donne di Milano che si sono trovate periodicamente per circa due anni, ha pubblicato a sua cura con la collaborazione di Clara Mantica Incontrare la vecchiaia - guadagni e perdite. Incontri e confronti tra donne (Libera Università delle donne edizioni).

Dice: «Avevo cominciato a scrivere un diario sul mio avvicinamento alla vecchiaia, qualcosa mi pareva minaccioso, quasi inconcepibile. Dopo aver scritto sulle cinquantenni e poi sulle loro figlie, le trentenni, arrivata a questa età volevo provare a capire che cosa vuol dire. Non volevo fare un’indagine di tipo sociologico. Ho con tristezza realizzato che, mentre da giovani e poi anche un po’ dopo, durante i cinquant’anni, c’era uno scambio continuo, un lavoro collettivo, un flusso autocoscienziale, tutto questo col tempo ahimè era scomparso. Inoltrarsi nel territorio della vecchiaia significava vivere qualcosa che ciascuno affrontava molto singolarmente e che dipendeva moltissimo dalla situazione di vita. Cambia infatti moltissimo se c’è un buon rapporto di coppia, se hai i nipotini vicini, se stai bene in salute, se hai ancora un lavoro che però non ti sfianca; insomma, se ci sono delle condizioni favorevoli. Se invece, per caso, uno qualsiasi dei pilastri di questo equilibrio viene meno, come per esempio una malattia improvvisa, la perdita di un sostegno, la fine di un lavoro… ecco che tutto diventa difficile e solitario. Ho fatto questo, nonostante che ci siano stati momenti in cui avessi la sensazione di “spogliarmi” in pubblico e avessi pudore a mostrarmi con tutte le mie debolezze, fragilità, inquietudini, perché era un modo di riallacciare dei fili con altre donne della mia generazione. Alla fine, quando ho messo insieme tutti questi fogli sparsi, è venuta fuori una specie di autobiografia individuale, ma anche un’autobiografia generazionale. Ho accolto con piacere quindi l’invito della Libera Università delle Donne di Milano a tenere una serie di incontri su questo tema». 

Gli incontri sono stati una riflessione sulla vecchiaia cercando di allontanarci dagli stereotipi e privilegiando l’idea che l’esistenza tutta, sino alla fine, sia caratterizzata da un’incessante metamorfosi. Dopo l’esperienza alla Università delle Donne, Marina Piazza ha proseguito il cammino con altri gruppi, seminari e incontri fino a pubblicare La vita lunga delle donne (Edizioni Solferinolibri).

Abbiamo chiesto a Clara Mantica, che ha partecipato agli incontri della Università delle donne:

Dopo l‘esperienza che ti ha portato a“Incontrare la vecchiaia hai continuato a riflettere sul tema? Come aggiorneresti i temi che erano emersi durante i vostri incontri?

Non ho mai smesso di riflettere perché sono un’invecchianda, persona che invecchia e cerco di affrontare le questioni che

Gli incontri sono stati tra una ventina di donne dai 60 ai 78 anni vicine alla Libera Università delle Donne di Milano dal 5 novembre 2013 al 22 maggio 2015; il libro che ne è scaturito Incontrare la vecchiaia a cura di Marina Piazza Ledizioni, Milano 2016.incontro senza mai separare la mia condizione personale dal politico. È un’eredità della pratica femminista che ha guidato la mia vita.

La pandemia ha fatto emergere drammaticamente la condizione dei vecchi, per lo più invisibili e isolati, e la persistente e colpevole assenza della vecchiaia dal dibattito pubblico e dalla politica.

Vi offro alcuni argomenti che sicuramente fanno parte anche delle vostre riflessioni ed esperienze.

Esiste una Carta per i diritti delle persone anziane e i doveri della comunità, presentata nel settembre 2021 a Mario Draghi, Presidente del Consiglio, dalla “Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana” istituita dal Governo e presieduta da Monsignor Paglia. È un po’ generica ma contiene punti essenziali, vale la pena di seguire i lavori, capire come si intende procedere soprattutto in merito alla figura del fiduciario non solo per il fine vita (DAT o disposizioni anticipate di trattamento, comunemente definite “testamento biologico”), ma per quelle fasi della vita in cui ci si rende conto che non si è più in grado di fare da soli. Non si tratta dell’amministratore di sostegno (scelto con una procedura d’ufficio da un Giudice) che si occupa dei beni materiali e che spesso risulta prevaricante le volontà dell’anziano, ma di una persona o gruppo di persone - non necessariamente familiari designate dall’anziano stesso sulla base di stima e fiducia.

Per quanto mi riguarda, vorrei che più persone che mi hanno conosciuto e rispettato nel corso della vita potessero fare rete per proteggermi in caso di necessità.

Ho chiesto consulenza a un Notaio che mi ha confermato che è una procedura ammessa dal Codice civile. In molti la adottano, ma i più non la conoscono.

La Comunità di S. Egidio sta lavorando per chiedere di aggiungere ai Diritti Umani fondamentali il diritto degli anziani a essere in relazione, non segregati nelle case o nelle RSA come è avvenuto durante la pandemia (e ancora avviene). Costringere gli anziani all’isolamento per anni è stata una barbarie, abbiamo svilito, resi impotenti, condannato alla solitudine milioni di persone vive, vigili, piene di amore da dare e ricevere!

Quando si parla di persone anziane o vecchie, il linguaggio si banalizza e si appiattisce: si diventa “una vecchina o un vecchino”, a meno che non si abbia uno status sociale riconosciuto. Uscire dall’omologazione, restituire identità a individui che hanno vissuto sopravvivendo a tante prove. Restituire dignità, narrare le vite.

Intergenerazionalità, sono venuta ad abitare da due anni in un Borgo Intergenerazionale (BIG) qua a Milano lasciando la casa dove ho abitato molti anni. Fin dagli anni Novanta ho sognato e lavorato per costruire comunità solidali e intergenerazionali, è sempre stata una meta. Oggi mi domando se e come si possano favorire rapporti fra generazioni, ma prima ancora fra persone, visto che l’isolamento e la melanconia sociale (definizione del CENSIS nell’ ultimo rapporto) sono le tendenze più evidenti.

In genere gli invecchiandi sono visti come soggetti fragili e bisognosi. Può darsi che ci sia un certo timore a fare amicizia con loro perché poi, se succede qualcosa, devi andarli a trovare, occupartene… Bisognerebbe mostrare l’anziano come risorsa, non solo economica (se ha una buona pensione), ma come referente con cui può valere la pena di confrontarsi.

Giovanni Bollea, fondatore della neuropsichiatria infantile, grande vecchio, dice che la vecchiaia è come risalire il fiume, si va verso la sorgente, l’acqua diminuisce, ma diventa sempre più limpida e, arrivati alla sorgente, lì si incontra l’infanzia.

Grande vecchiaia e nascituri… Ho sempre pensato che sia una meravigliosa accoppiata.

A volte penso “se fossi ricca…” farei una grandissima casa dove qualcuno vive stabilmente e qualcuno passa e ci resta un po’, con piccoli spazi intimi e spazi ampi e comodi, abitati da bimbi, da vecchi, da artigiani: chi dormicchia, chi gioca, chi fa un disegno, chi lavora al tornio, chi cuce, chi cucina. È il “silenzio condiviso” che pacifica e che unisce la concentrazione dell’artigiano, del vecchio, del piccolo bimbo…

In questa grande casa si nasce e si muore. La consapevolezza guida gli atti; la compagnia consola la paura e la solitudine anche di quelle persone - quasi sempre donne, straniere estirpate ai loro luoghi e affetti - che accompagnano per lavoro le nostre vecchiaie e le nostre morti in casa o nelle RSA.

“Lasciare andare”, esercizio delicato; fin che possiamo non delegare è bene occuparcene in prima persona a cominciare dalle cose, dagli abiti, dai libri, dalle fotografie dagli scritti, dai ricordi e dalle mille cose che abbiamo raccolto. Saper scegliere.

Mancano vistosamente i più elementari servizi per gli anziani (senza addentrarci fra i soggetti svantaggiati). A cominciare dalle stazioni ferroviarie dove non ci si può sedere aspettando il treno (la Centrale di Milano per esempio), dove non ci sono carrelli per trasportare i bagagli o persone addette che aiutino a caricare la valigia fin sul vagone. Così negli aeroporti dove agli anziani non si dà nemmeno la precedenza all’imbarco come si dà invece ai genitori con i bambini piccoli. Così come sarebbe interessante che teatri e sale da concerto facessero spettacoli pomeridiani o che si istituissero appositi carnet per i taxi. E così via. Basterebbe fare un censimento fra gli interessati per capire cosa serve.

Precarietà, malattia, impermanenza, morte: la paura aumenta e il corpo si indebolisce anche per l’ansia. “Se mi succede qualcosa a chi chiedo? Che diritti ho?” Sostenere gli anziani con gruppi di condivisione facilitati distribuiti sul territorio che abbiano funzione di ascolto e di prevenzione. Prevenire significa orientare le risorse, scegliere soluzioni sostenibili, persino risparmiare.

 

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